Descrizione
Prefazione
Edizione italiana a cura di dott.ssa Valeria Pascale e prof. Simon Izzo, BCBA
Il termine abilitazione porta con sé una grande zavorra. Non solo la natura statica del termine è alquanto sgradevole, ma sembra implicare che le persone con disabilità non possano migliorare nel tempo. Preferisco il termine riabilitazione in quanto il cambiamento comportamentale è onnipresente e può essere osservato in ciascuna delle stagioni della vita, man mano che una persona con disabilità intellettiva cresce. Il trauma e l’abuso documentati su persone con disabilità si verificano ad un tasso che è molto maggiore di quello osservato con le persone a sviluppo tipico. Le ragioni di ciò sono molteplici, ma dipendono dal fatto che le persone con disabilità intellettive spesso risiedono in ambienti di vita di gruppo in cui il loro personale può impegnarsi in comportamenti negligenti o di abuso nei loro confronti. La storia di come abbiamo trattato le persone con disabilità negli ultimi 100 anni in questo Paese è piena di cattive condizioni di vita e procedure di punizione a seguito della presenza di comportamento aggressivo o inappropriato. Ho potuto osservare queste situazioni precocemente nel mio primo lavoro dopo il college.
Riesco ancora a vedere gli edifici fatiscenti nel campus dell’ospedale psichiatrico statale di Whitfield a Pearl Mississippi. Ovunque nel campus si potevano vedere pazienti che camminavano parlando da soli mentre gesticolavano selvaggiamente tra sé e sé. L’edificio principale degli uffici risuonava con le vocalizzazioni dei pazienti che avevano accesso al parco e camminavano nella struttura. Sebbene il mio ruolo fosse nel dipartimento residenziale, ero comunque tenuto a seguire tutte le direttive che gli psichiatri e i professionisti medici mettevano in atto. Mi addolora ancora ricordare cosa è successo a un giovane paziente che chiamerò Tim. Lui era costantemente alla ricerca di sigarette da prendere in prestito dai suoi compagni pazienti. Quando questo sforzo non era fruttuoso, faceva affidamento alla ricerca di mozziconi. Il suo psichiatra aveva ritenuto questo come pericoloso e aveva incaricato il suo personale residenziale di trattenerlo quando si impegnava a cercare mozziconi di sigaretta e di metterlo in una stanza coperta su tutte e quattro le pareti con 5 pollici di gomma dura posta sopra un nucleo di schiuma. La porta d’ingresso era in acciaio massiccio con una finestra da 8X8 pollici nella parte superiore da cui il personale poteva monitorare i pazienti collocati nella stanza.
Quando sentii l’ordine iniziale, rimasi sorpreso. Non riuscivo a capire la logica clinica dietro il trattenimento di qualcuno e il loro collocamento in una stanza imbottita per l’aver fumato mozziconi di sigaretta scartati. Certo, questa era la fine degli anni ‘80 e molti dei nostri progressi nell’etica del trattamento dovevano ancora essere pienamente realizzati, ma ciò mi sembrava comunque inutile, dato il comportamento per cui Tim veniva punito. Con riluttanza ho diretto il personale a cui lo psichiatra aveva ordinato che Tim fosse trattenuto fisicamente mentre raccoglieva mozziconi di sigarette nella parte anteriore del suo edificio. Mi sentivo impotente mentre lottava ferocemente con il personale che lo tratteneva contro la propria volontà e lo trasportava nella stanza singola chiusa a chiave dove doveva restare seduto per un’ora. Nessun criterio di uscita, nessun avvertimento, nessuna reale presenza di rischi che rendesse necessaria una tale mossa. I miei pensieri correvano mentre chiudevo gli occhi con il suo sguardo penetrante su di me e le lacrime che scorrevano sul suo viso. Mi pregò di aprire la porta e farlo uscire e fu allora che capii che qualcosa doveva cambiare. Se questo è il modo in cui trattiamo le persone con disabilità e malattie psichiatriche nel nostro sistema attuale, vergognamoci! Il giovane Tim ricevette lo stesso trattamento nei mesi successivi ogni volta che raccoglieva i mozziconi di sigaretta. Chiaramente non stava imparando dall’esperienza, ma le conseguenze punitive venivano comunque applicate. Un giorno cercai di allontanarmi e raggiungere comodamente a piedi un altro edificio dopo aver sentito il personale dire che Tim si stava impegnando nella ricerca di sigarette: conoscevo già il triste destino che lo attendeva e non volevo farne parte. Questa esperienza e altre innumerevole simili esperienze nel campus di questa istituzione statale hanno funto da forte motivazione per il mio frequentare la scuola di specializzazione. Un giorno, mentre ero seduto ad ascoltare attentamente l’assistito con cui stavo lavorando proclamare che era il Messia e che gli altri semplicemente non lo avrebbero ascoltato, fui improvvisamente informato che avevo una chiamata sul telefono a gettoni in fondo alla sala dell’istituto.
A quei tempi, i telefoni a gettoni si trovavano nella maggior parte degli edifici amministrativi del campus. Ho risposto al telefono e sono stato accolto con la voce profonda e autorevole del Dr. Brandon Greene che mi ha fatto sapere che ero stato accettato nel programma di analisi e terapia del comportamento presso la Southern Illinois University (SIU) di Carbondale, Illinois. La speranza era nell’aria, mentre cercavo di avere un impatto positivo sulle condizioni che avevo visto con le persone più vulnerabili in contesti istituzionali. Mentre ero a Carbondale, ho avuto il privilegio di lavorare in una struttura per lesioni cerebrali post-acute dove sono stato supervisionato dal mio mentore Marty McMorrow. Questi era stato uno studente di Richard Foxx ed era un forte difensore dei diritti degli assistiti e degli approcci proattivi all’analisi del comportamento in ambito clinico. Il progetto al quale abbiamo lavorato ha trattato alcune delle persone più aggressive del paese che avevano subito lesioni cerebrali traumatiche. Il contesto del trattamento fu una sfida in quanto il comportamento verbale della maggior parte degli assistiti era piuttosto limitato; ciò mi ha permesso di usare la formazione presso la SIU in modo molto funzionale. Ricordo vividamente una delle case in cui abbiamo lavorato. La residenza era stata precedentemente di proprietà di Nate Azrin ed era piuttosto antica. Posso sentire le scale ancora oggi – quasi 30 anni dopo – che scricchiolavano quando si saliva dal primo al secondo piano dell’abitazione. L’architettura unica della casa includeva un secondo piano in cui il pavimento era così deformato che si poteva letteralmente far rotolare una palla da bowling lungo l’intera lunghezza della sala, semplicemente lasciandola andare dalla mano. È stato qui che ho appreso per la prima volta dell’insegnamento attivo e degli approcci basati sull’interazione positiva che avrebbero caratterizzato la maggior parte del mio lavoro da quei giorni in poi. Gli approcci clinici di Marty sono stati influenzati dal suo lavoro con Richard Foxx e da alcune delle prime applicazioni cliniche di Nate Azrin. La prolifica carriera di 57 anni di Azrin ha incluso alcune delle serie più ampie di lavori sperimentali sugli effetti della punizione sul comportamento non umano. Azrin ha lavorato con titani del settore come Ted Ayllon e Richard Foxx nell’uso pionieristico della Token economy e di metodi rapidi di insegnamento del toilette training per adulti istituzionalizzati. Queste esperienze lo avevano plasmato in un professionista specializzato sugli antecedenti con un focus sulla scelta dell’assistito e sugli approcci proattivi che erano privi di qualsiasi accenno di coercizione o programmazione punitiva.
Questi approcci, per osmosi, mi hanno permeato negli anni in cui ho lavorato nel campo delle lesioni cerebrali prima del mio lavoro con adulti con autismo e altre disabilità intellettive. Gli approcci comportamentali dovrebbero essere basati su variabili ambientali del comportamento e non sulla diagnosi dell’assistito. Questa è stata una trappola per molti analisti del comportamento che hanno lavorato con diverse popolazioni nel tempo. Non esiste una ricetta speciale per lavorare con persone con una lesione cerebrale, una malattia psichiatrica o una disabilità intellettiva. Tutte queste sfide devono essere prese in considerazione individualmente in quanto riguardano gli eventi e la storia di apprendimento della persona. L’approccio comportamentale deve essere immerso nella scienza del comportamento, come la nostra storia ci ha insegnato, e le interazioni positive basate sulla contingenza che costruiscono un rapporto clinico. Questo libro intende delineare un approccio di valutazione e intervento alla fornitura di servizi clinici proattivi per assistiti severamente aggressivi sia in contesti comunitari che residenziali.
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