Descrizione
Angelomichele Risi nel corso di questi primi mesi del 2023 ha realizzato una serie di grandi tele che difficilmente possiamo iscrivere sia nell’ambito generico di una declinazione astratto-concreta, come teorizzava Lionello Venturi a proposito degli artisti inscritti nel Gruppo degli Otto, nei primi anni Cinquanta, sia nell’astrazione di matrice geometrica, tantomeno nell’indeterminata astrazione lirica.
L’esperienza messa in campo dall’artista, ha una sua più chiara connotazione se la si confronta con quelle opere, soprattutto assemblage, ‘macchine pittoriche’ che vanno oltre i dettati neodadaisti dell’estetica rauschenberghiana. Parlo di opere quali Calypos Melody, del 2016, oppure Senza titolo, esposta nel 2017 nella mostra con Nicola Salvatore e Silvio D’Antonio, al Palazzo del Broletto a Como.
Occorre andare oltre la rettangolare geometria della tela, del supporto per caricare la pittura di una molteplicità di suggestioni emotive, sia attraverso piani o schermi di colore saturo, sia accogliendo l’oggetto come pagina di un personale diario dell’immaginazione. Nei dipinti realizzati di recente, una serie che abbiamo voluto definire “Opereduemilaventitre”, Risi si lascia guidare dal cuore, da lunghe ‘sincopi’ determinate da stati emotivi; nulla di mentale, nulla di concettuale, nulla di astratto tantomeno di rimando referenziale: è il cuore, non l’occhio, a guidare l’epifania che, davanti ai suoi e ai nostri occhi, ritrova una sua esistenza. Diversamente dagli artisti astratto-concreti nei quali, a detta di Venturi, coesisteva un rapporto che teneva insieme la visione naturalistica e la dimensione intimistica dell’artista, quest’ultima, comunque, sottoposta al controllo formale (estetizzante) della percezione; questi dipinti di Risi riescono a varcare la soglia chiusa della tela. All’interno dei piani organizzati da sfumature, da segni colorati che traducono una gestualità propria dell’espressionismo astratto, da schermi affiancati che non rispettano nessun contrasto e, soprattutto per la presenza di forme che suggeriscono una certa tridimensionalità e, quindi, un aggetto verso l’esterno. Potremmo affermare che Risi ha operato e opera, sulla capacità espressiva del colore – sul massimo della sua potenza luminosa – e questo in assenza assoluta di una forma connotativa. Autore del volume monografico il critico Massimo Bignardi.
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